Neanche
15 APRILE / 03 MAGGIO 2013 – AOCF 58 GALLERIA BRUNO LISI
Un terremoto richiama due terrori. Uno fermissimo e compiuto, l’altro mosso. Quest’ultimo è il pavimento che ondeggia, le librerie che sbattono sulle pareti, strani rumori, fruscii mai sentiti prima. Il parquet sembra un mare di legno con onde lievi. I soffitti paiono nuvole. Non sai cosa stia succedendo. Capisci subito che è il terremoto ma lo rifiuti perché non sai se morirai e, soprattutto, non ti piace dirti che morirai (forse te lo sei detto, perciò lo ricordi). Provi una paura sconosciuta, una paura vergine. Il terrore compiuto, invece, è quello di Gibellina nuova e vecchia (fissata nel Cretto di Alberto Burri), vinte dal terremoto. Quel sentimento di morte tanto integrale da non lasciare più memoria. Così chiara, quella morte, che non si ha più ricordo neppure dell’abbandono (poiché in quei luoghi c’era presenza e c’era voce). Una fine che è come una bestia preistorica, corazzata, di pietra, che è lì da decine di millenni. Le foto di Nina Baratta sono terrore compiuto, in cui non si trova neanche il ricordo delle macerie e delle rovine. In un primo momento, infatti, si era pensato di chiamare la mostra Ruine, ma Nina non le riconosceva. Non ci sono neanche le rovine. Tuttavia, anche se non avevamo ancora i due papi, quando si pensava a questa mostra, c’era già la foto del prete aquilano che atterrito e scioccato (ma che prova a dissimularlo) regge un Gesù Bambino miracolosamente salvo, e lo regge con posa da iconografia medievale. Il 6 aprile 2009 c’era già la fine di una chiesa ricca e ridondante che è stata viva per secoli e che oggi – come pare tutto e tutti – deve farsi povera e francescana. Una chiesa della decrescita. Non diventerà più, certo, uno strumento – buono o cattivo che sia – di codificazione della vita di molti uomini, né aiuterà lo smantellamento del nuovo giovanilismo eterno.
Francesco Pontorno